Il crollo del ponte progettato dall’ing. Riccardo Morandi ha tragicamente posto all’attenzione della Nazione italiana il problema generale della sicurezza. Le prime dichiarazioni che sono state diffuse dal sistema dell’informazione sono state improntate, molte se non tutte, sulla risposta alla domanda: “Era sicuro il Ponte Morandi?”. Astraendoci dal tragico caso di Genova, potremmo generalizzare riferendoci ad altri oggetti: “era sicura la A14 a Bologna?” e così via.
Questa domanda, mal posta, “era sicura?” indica il livello, ampiamente diffuso nella Collettività, di scarsa conoscenza del concetto di “sicurezza”. La domanda corretta dovrebbe essere: “quanto era sicuro il ponte?” ovvero “quanto era sicura l’autostrada a Bologna?” ovvero “quanto sarà sicuro il nuovo ponte sul Polcevera?”
In altri termini, la sicurezza non è una condizione di stato, com’è il sentire diffuso, bensì è una grandezza. Ma se è, com’è, una grandezza, ciò significa che la sicurezza può essere misurata, calcolata o, almeno, stimata.
La misura della sicurezza è data dal livello di rischio. Il rischio è definito come il prodotto della probabilità dell’evento dannoso moltiplicato per la magnitudo (gravità) del danno. Più prosaicamente la sicurezza si misura in soldi!
Mettiamoci nei panni di un ingegnere che sia stato incaricato della progettazione esecutiva del nuovo ponte sul Polcevera. Tra le tante possibili domande che egli potrebbe porsi vi sarà la seguente: il ponte deve resistere o no all’esplosione di un’autocisterna carica di gpl come è esplosa a Bologna? A fronte di tale domanda qualcuno eseguirà il calcolo del rischio. A fronte di tale calcolo, ne deriverà anche l’incremento di costi e di tempi di realizzazione, nonché l’ampliamento della fascia di territorio di rispetto sottostante al ponte. Variazioni ben significative. E a questo punto che farà? Presenterà un’istanza. Sì, ma a chi? Trattandosi di un’opera d’interesse addirittura internazionale, a chi dovrebbe essere rivolta la domanda e chi dovrebbe fornire la risposta? Oggi e solo dal 2003, la risposta dovrebbe venire dall’organo di livello politico adeguato (nel caso dell’esempio dal Governo nazionale, ad es. tramite il CIPE) a seguito di un’istruttoria del MIT, previa acquisizione del giudizio favorevole di compatibilità ambientale rilasciato dal Ministro dell’Ambiente, di concerto con il Ministro dei Beni Culturali (Procedura di VIA – Valutazione di Impatto Ambientale).
Questa esemplificazione mette in risalto il fatto che le opere infrastrutturali definite strategiche,su cui abbiamo agito e continuiamo ad agire sin qui, progettate e realizzate prima del 2001 sono state fatte in assenza di una Valutazione di Impatto Ambientale specifica.
Lo strumento tecnico che rende possibile il Controllo e il Monitoraggio nasce il 4 settembre 2003, giorno in cui le “linee guida del progetto di monitoraggio ambientale per le Opere Strategiche“ sono state approvate dalla Commissione Speciale di Valutazione di Impatto Ambientale per le Grandi Opere Strategiche, di cui al D. Lgs. N°166/2002[1].
Fino a quella data non esisteva né in Italia né all’estero uno strumento specifico che permettesse di controllare la validità delle scelte progettuali valutate in tutte le sue implicazioni ambientali ed economiche in rapporto alla valenza strategica dell’opera. Ante operam, in corso d’opera e post operam.
Anche questo è un contributo dato dall’Ingegneria italiana.
[1] Le linee guida approvate dalla CSVIA sono poi state comprese all’art.21 dell’allegato XXI al Codice degli appalti del 2006. Tali Linee-guida, PMA, sono state aggiornate pochi anni fa (Rev.1 del 16/06/2014) e sono tuttora applicate.