Strutturisti e Restauratori: Sicurezza Vs Conservazione? – 2 puntata

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RESTAURO ARCHEOLOGICO

NORMATIVE ATTUALI: COERENZE A INTERMITTENZA
Ripetendo qui quanto già scritto in precedenti occasioni (Borri e De Maria, 2015a) occorre anzitutto ricordare che i beni culturali hanno seguito sempre un iter diverso rispetto a quello degli edifici non tutelati, e ciò è ben comprensibile se si riflette sulle particolari problematiche che tali edifici comportano, legate alla necessità di conservare e non stravolgere l’edificio con interventi strutturali che potrebbero risultare troppo invasivi. Già la Legge n. 1089 del 1939 distingueva i beni di interesse artistico e culturale da tutte le altre costruzioni: “le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico … non possono essere demolite, rimosse, modificate o restaurate senza l’autorizzazione del Ministro della pubblica istruzione. Le cose medesime non possono essere adibite ad usi non compatibili con il loro carattere storico od artistico, oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione o integrità”.
Le “Raccomandazioni relative agli interventi sul patrimonio monumentale a tipologia specialistica in zone sismiche”, emanate dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali nel 1986 (il cosiddetto “Documento Ballardini”) fissavano con lucida chiarezza i termini del dibattito sulla protezione sismica dei beni culturali. Tali princìpi, con una sola importante eccezione, di cui si dirà fra breve, costituiscono ancora oggi i cardini delle normative che riguardano tale problematica. Si parla lì infatti di “approccio interdisciplinare”, “… poca chiarezza normativa circa gli aspetti tecnici degli interventi, peggiorata dalla tendenza ad applicare in maniera impropria norme tecniche … scritte per l’edilizia ordinaria e non per gli edifici monumentali a tipologia specialistica…”, “conflitto tra le esigenze di conservazione e restauro, da un lato, e la protezione dal rischio sismico della costruzione e delle vite umane dall’altro lato, con le connesse assunzioni di responsabilità”, “assenza di modelli di calcolo e verifica riconosciuti validi per le tipologie speciali”. Molto di quanto sopra potrebbe essere ripetuto oggi, a distanza di 30 anni, ma la conclusione cui si giunse allora fu ben diversa da quella attuale. Infatti, nelle Raccomandazioni del 1986 si concludeva che “gli interventi sul patrimonio monumentale devono essere caratterizzati da un aumento di sicurezza nei confronti delle azioni sismiche senza però che si ponga in modo rigido il problema del rispetto delle verifiche formali nei confronti delle azioni sismiche di progetto previste per le nuove costruzioni”. Le NTC (sia quelle del 2008 che quelle approvate nel 2014) e, di conseguenza, le Linee Guida BBCC distinguono anch’esse tra costruzioni ordinarie e quelle tutelate ma, al contrario delle Raccomandazioni del 1986, impongono un calcolo numerico della sicurezza.
Nelle NTC 2008 si legge infatti: “Per i beni di interesse culturale in zone dichiarate a rischio sismico, ai sensi del comma 4 dell’art. 29 del D. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, è in ogni caso possibile limitarsi ad interventi di miglioramento effettuando la relativa valutazione della sicurezza”.
Tale concetto è stato ripreso e sviluppato nelle già citate Linee Guida BBCC, confidando nelle moderne modellazioni numeriche che trenta anni fa non erano possibili: “Pur nella consapevolezza che non sempre si possono applicare ai beni culturali tutelati le prescrizioni di modellazione e verifica indicate per gli edifici ordinari, è comunque necessario calcolare i livelli delle azioni sismiche corrispondenti al raggiungimento di ciascuno stato limite previsto per la tipologia strutturale dell’edificio, nella situazione precedente e nella situazione successiva all’eventuale intervento. A tale fine dovranno essere impiegati i modelli ritenuti più affidabili”.
Dunque, come si è visto, anche se si prosegue nella corretta distinzione fra costruzioni ordinarie e costruzioni vincolate, dalle NTC 2008 in avanti si chiede di valutare numericamente la sicurezza di tutte le costruzioni.
E’ vero che le conoscenze tecnico-scientifiche di oggi in tema di analisi strutturale non sono quelle degli anni ‘80, ma bisognerebbe distinguere in modo netto tra i casi nei quali i modelli (statici, dinamici o cinematici) riescono a seguire la realtà di una costruzione muraria e casi nei quali, invece, la presenza di elementi di criticità non quantificabili va ad inficiare sostanzialmente ogni capacità di previsione.
La soluzione proposta dalle Linee Guida BBCC è la seguente: “Nel caso in cui il progettista dovesse ritenere che non è possibile mettere in conto nella valutazione della risposta strutturale il contributo di alcuni aspetti costruttivi ….. è possibile quantificare tale effetto su base soggettiva, giustificando ciò adeguatamente”.
Questo rappresenta oggi l’incoerenza maggiore dell’attuale impostazione normativa, perché in presenza di elementi di criticità non quantificabili, purtroppo spesso presenti, chiede (= impone) di valutare la sicurezza di una costruzione in muratura con strumenti e modelli numerici che appaiono, in questi casi, inadeguati rispetto alla realtà (potremmo dire di insostenibile leggerezza) stante la contraddizione in termini del dover quantificare l’inquantificabile.
In ogni caso, il testo delle Linee Guida BBCC (riferimento obbligatorio per le Soprintendenze) fornisce delle indicazioni importanti e ben chiare in merito alle tipologie di intervento e certamente nessuno oggi penserebbe di inserire elementi in c.a. (pilastri e/o travi) in una chiesa o in un palazzo storico, o, nel caso, verrebbe immediatamente fermato da uno scontato, fulminante parere negativo della Soprintendenza competente territorialmente.
E’ anche vero che la coerenza è una virtù presente in modo un po’ discontinuo nelle persone e anche in alcune delle nostre Istituzioni…. Si potrebbe parlare, in particolare, di interventi inadeguati fatti o approvati (compresi nuovi elementi in c.a. dentro costruzioni monumentali) senza rispetto di quelle indicazioni, nell’assordante silenzio di restauratori, conservatori e Organi competenti, come anche di alcune indicazioni inserite ex novo (rispetto alla versione originaria del 2007) nelle Linee Guida BBCC del 2011, che non sembrano essere molto in linea con quei principi del restauro fermamente sostenuti sul campo proprio dal MiBACT. Ma per restare solo sul terreno di propria specifica competenza, si vogliono qui invece ricordare quelle che, a parere dell’Autore, sono le gravi incoerenze di quegli strutturisti che hanno indicato la via della “vita utile” o del “tempo per l’intervento” o della “vita nominale ridotta” per ovviare alle problematiche che emergevano nel non rispetto delle verifiche degli edifici rilevanti, strategici o vincolati (Commissione Grandi Rischi nel 2002, Comitato Scientifico Regione Emilia Romagna nel 2010, Circolare Protezione Civile del 2010, Linee Guida BBCC del 2011). Si veda a questo proposito quanto scritto in (Borri e De Maria, 2015a) e (Borri e De Maria, 2015b).
In quei testi la fede nei numeri e nei modelli è stata pesantemente adattata alle necessità e alle opportunità del caso: il trucco adottato (ridurre, senza indicare dei limiti inferiori, la vita nominale e quindi il periodo di riferimento, sino a che la probabilità di superamento nel periodo è la stessa di un edificio a norma) confida sulla (presunta) incapacità degli ingegneri di capire che nel modello probabilistico della sicurezza conta, più della probabilità totale nel periodo, la probabilità annua e quindi, se si diminuisce troppo il periodo di riferimento può aumentare in modo clamoroso il rischio che ci si assume.
Si deve anche dire, per completezza, che, a differenza dagli altri documenti, le Linee Guida BBCC del 2011 fanno presente questa problematica e sebbene non indichino in modo esplicito dei limiti inferiori, suggeriscono in qualche modo di stare al di sopra al valore dei 20 anni.
Non si può tacere infine su una analoga e ancor più grave incoerenza insita nella definizione dei coefficienti di adeguatezza per gli interventi di miglioramento delle nuove NTC 2014, che in taluni casi (ad esempio quando si dice che va bene anche 0,1) equivale a rinnegare ogni fiducia nei risultati del calcolo strutturale e nel concetto stesso di “vita nominale” (Borri e De Maria, 2015c). In altre parole, quanto è stato scritto equivale a dire che il calcolo è obbligatorio, e quindi si deve fare, ma poi, in definitiva, quello che viene non ha alcuna importanza, e se la vita nominale residua non è neppure calcolabile, risultando il periodo di ritorno al di sotto del minimo valutabile, va bene lo stesso… Quello che non è chiaro è su chi ricadranno poi le responsabilità conseguenti a situazioni di questo tipo.
DANNI DA ECCESSO DI DELEGA, DANNI DA INERZIA E DANNI DA IGNORANZA
Non si possono qui non ricordare anche quei casi, molti dei quali proprio in Abruzzo negli anni ’60 -’70, dove un eccesso di delega nei confronti degli strutturisti dell’epoca ha portato ad un sistematico e sciagurato inserimento di elementi in c.a. rigidi e massicci (cordoli sommitali, solai, coperture in latero cemento) in costruzioni realizzate con murature.
Si hanno poi quelli che si potrebbero chiamare “danni da inerzia”, legati a casi in cui c’era la necessità di un intervento, ma niente è stato fatto, vuoi per inerzia, vuoi per inefficienza burocratica, se non addirittura, in taluni casi, per scelta filosofica del non intervento (in sintonia con J. Ruskin, “rovinista romantico” convinto dell’immoralità dell’intervento di restauro). Altro caso ascrivibile alla suddetta tipologia è quello in cui si scontrano, per la tutela di un bene, competenze e visioni diverse che di fatto bloccano ogni iniziativa. Così, ad esempio, per timore che un intervento possa causare un qualche minimo danneggiamento ad un’opera pittorica muraria, si bloccano per anni lavori necessari per impedirne danni ben più gravi. Certo non meno gravi sono i “danni da ignoranza o sottovalutazione” degli aspetti strutturali di un problema, purtroppo più frequenti di quanto si possa pensare, legati o a vera ignoranza delle funzioni strutturale dei diversi elementi o, talvolta, a richieste estetiche o di riconoscibilità (tipo: “….mimetici da lontano, riconoscibili da vicino…”). Purtroppo il sisma ci vede sempre molto bene (nel trovare le carenze e le vulnerabilità esistenti) e non è di gusti difficili …
Come semplici esempi si vedano, gli effetti di una richiesta di disallineare il prospetto di una costruzione nuova rispetto ad una preesistente (ai fini della riconoscibilità) oppure di lasciare una parte della muratura faccia a vista in un intervento con l’intonaco armato, certo di per sé non condivisibile, anche se si tratta di un edificio non vincolato, ma che almeno, se fosse stato fatto in modo completo, sarebbe risultato efficace. La Fig. 14, infine, si riferisce ad un caso di eliminazione (negli anni 60-70) di alcune catene metalliche presenti nella Fortezza spagnola a l’Aquila, evidentemente ritenute superflue ed antiestetiche.

CONCLUSIONI
Si vuole qui ricordare solo come la via migliore per una possibile mitigazione del problema del “cultural divide” appare quella di un maggiore dialogo tra strutturisti e conservatori, attuabile mediante appositi momenti di incontro e di dibattito. Qui potrebbero aiutare i recenti percorsi di aggiornamento obbligatorio, attraverso i quali potrebbero essere indicate, insieme agli indirizzi per un “consolidamento consapevole” anche quelli di un “restauro consapevole”. Utile sarebbe anche (utopia delle utopie) l’inserimento in ruolo di ingegneri nelle varie Soprintendenze. A livello normativo si potrebbe suggerire (altra utopia) il ritorno a quanto prevedeva la circolare Ballardini (cioè nessun obbligo di calcolo) per quei casi dove sono le criticità non quantificabili a condizionare la risposta e dove quindi i modelli numerici non possono fornire risposte valide. Legato a questo, ma non solo, c’è poi il problema delle responsabilità, che appare, nel momento attuale e specie per i beni culturali, un po’ penalizzante per tecnici verificatori e progettisti. Ad esempio, le Linee Guida BBCC indicano in modo esplicito che “spesso è opportuno accettare consapevolmente un livello di rischio sismico più elevato rispetto a quello delle strutture ordinarie, piuttosto che intervenire in modo contrario ai criteri di conservazione del patrimonio culturale”. In questo modo però è evidente che sono solo i tecnici che devono farsi carico, per gli eventuali danni e crolli causati da eventi sismici futuri, della responsabilità dei mancati interventi o della loro limitatezza.
In quest’ultimo caso poi, le responsabilità sono ancora più stringenti, perché le NTC chiedono comunque, anche per l’edificio tutelato, che il tecnico espliciti in una apposita relazione se l’uso della costruzione possa continuare o meno. Accettare maggiori rischi in nome della conservazione significa quindi che il tecnico deve accettare “consapevolmente” che queste maggiori responsabilità gravino principalmente (per non dire tutte e solo) su di lui.

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