Ecosistemi forestali

Funzioni di ecosistemi boschivi contro l'impoverimento dei boschi

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Funzioni di ecosistemi boschivi e forestali: impoverimento di boschi e foreste per gestioni estensive e economica utilitaristica

di Leonardo Mastragostino

 

La fine del 2016 ha visto una potenziale positiva ratifica internazionale di nuovi accordi volti al contenimento del riscaldamento globale dovuto alla componente economica umana. Le elezioni U.S.A., con la vittoria di Trump, hanno dato una svolta contraria con il negazionismo del fenomeno di origine antropica e la nomina di personalità politiche nel settore ambiente molto favorevoli ai combustibili fossili.

In Italia si ha la sensazione, o la certezza, che vi siano forti contraddizioni tra gli accordi ratificati in quel momento dal presidente del consiglio dei ministri e le intenzioni di proseguire con una economia non sostenibile e relativi sprechi di energia e risorse, danni al territorio ed al paesaggio, produzione rifiuti (programmazione di nuovi inceneritori definiti erroneamente termovalorizzatori) e grandi opere nuove e prosecuzione di quelle in atto (ponte sullo Stretto di Messina in area sismica, T.A.V., nuove strade, autostrade, terze

corsie) delle quali abbiamo esempi in Toscana con la prevista circonvallazione di Lucca, il corridoio autostradale tirrenico, le terze corsie per la Firenze-mare e in esecuzione nel tratto autostradale attorno a Firenze della direttrice NordSud, nuovo stadio, nuovo aeroporto, ecc..

In tutto questo si inserisce anche, in modo evidente, a livello nazionale e quindi toscano, l’intenzione di riprendere lo sfruttamento delle aree boscate finalizzato alla utilizzazione delle biomasse a fini energetici con specifiche centrali, eccetera, in un momento in cui vi sarebbe assoluta necessità di incrementare l’immobilizzazione del carbonio negli ecosistemi boschivi e forestali, sia allungandone i turni di sfruttamento con la conversione dei cedui a fustaie, sia creando aree a tutela integrale sempre più estese; e di contro dedicando invece alla coltivazione di legname aree oggi degradate, con reimpianti, per intervenire meno in quelle naturali o pseudo naturali.

 

Tutto questo aiutato erroneamente da una modifica classificativa dei soprassuoli che ha visto aumentare come per magia l’estensione delle aree boscate nazionali includendovi situazioni vegetazionali che ben poco hanno a che vedere con veri ecosistemi silvestri.

A fronte degli effetti in atto delle mutazioni climatiche (es. dissesti idrogeologici, danni economici all’agricoltura quantificati per 14 miliardi in pochi anni, denunciati dalla Coldiretti nel dicembre 2016, meno 38% produzione olio in Italia nel 2016, previsioni di innalzamento del livello del mare con effetti sulle coste basse e aree di estuario, eccetera) e per quanto sopra, è estremamente utile inserire l’articolo specifico prodotto nel marzo 2016 a seguito di notizie citate, preoccupanti, ascoltate in tv e relative al settore economico legato all’utilizzazione del legno. L’articolo riprodotto di seguito e a suo tempo inviato a personalità del mondo scientifico e ambientalista, ha avuto i seguenti riscontri positivi da parte di:

  • Italia  Nostra,  sezione  Firenze, presidente Leonardo Rombai e vicepresidente Mariarita Signorini, con la pubblicazione sul blog il 27 febbraio;
  •   Fabio  Clauser,  Forestale già direttore del Parco Nazionale dello Stelvio, amministratore delle Foreste di Vallombrosa,, sovrintendente delle Foreste Casentinesi e dirigente del Ministero dell’Agricoltura e Foreste: commento di condivisione dell’articolo sul blog di Italia Nostra sezione di Firenze del 29 febbraio 2016;
  •  Giampiero Maracchi, Professore Emerito di Climatologia, Università di Firenze, Presidente Accademia  dei  Georgofili:  riscontro con mail di considerazione dell’articolo in data 1 marzo 2016;
  •  Alessandro Bottacci, Forestale già ricercatore dislocato a Botanica Forestale (Univ. Di Firenze) nell’equipe del prof. Romano Gellini, vicedirettore delle Foreste di Vallombrosa, direttore delle Foreste Casentinesi, direttore  del  Servizio  Biodiversità C.F.S.: condivisione dei contenuti dell’articolo con mail del 2 marzo 2016;
  • intervista da parte della giornalista Francesca Magurno per Radio Cora il 5 marzo (link intervista: http://www.radiocora.it/ post?pst=21606&cat=news);
  • condivisione  dei  contenuti dell’articolo da parte dell’associazione Verdi Ambiente e Società, con comunicazione mail in data 5 marzo 2016 di pubblicazione sul sito www.vasonlus. it (VAS Roma) da parte del dott.  Rodolfo  Bosi,  e della sezione VAS Chianti;
  •  Martina Borghi, Forest Campaigner-Greenpeace Italy: riscontro di considerazione dell’articolo con mail del 7 marzo 2016;
  • pubblicazione  dell’articolo  sul sito  della  Società  Botanica  Italiana  onlus  (via  G.  La  Pira  4, 50121 Firenze) con comunicazione mail da parte della Segreteria S.B.I. del 9 marzo 2016 ;
  •   Luca  Mercalli,  Presidente Società Meteorologica Italiana onlus, direttore rivista Nimbus, Collegio Carlo Alberto-Via Real Collegio 30, 10024 Moncalieri: riscontro di condivisione dei contenuti dell’articolo con mail del 19 marzo 2016.

 

uanto sotto riportato è tratto da un articolo scientifico (Gellini, Onnis) del 19921 che illumina su due aspetti fondamentali dell’ecosistema bosco: circa l’importanza del suo ruolo ambientale diversificato e, di contro, della prevalente ottusa considerazione utilitaristica e distruttiva da parte della società economica, parzialmente giustificata da livelli inferiori di conoscenze naturalistiche in epoche trascorse. «Il bosco non è un semplice assemblaggio di alberi ed arbusti, né può essere visto, in forma riduttiva, come una “estensione notevole di alberi selvatici” (Devoto e Oli, 1971). All’interno del bosco esiste infatti una molteplicità di alberi e di altri esseri viventi – animali e vegetali – legati l’uno all’altro da rapporti strettissimi di interdipendenza. L’insieme delle piante, nel senso più ampio, determina un assieme con gli animali ed il terreno, (la così detta biogeocenosi) che interagendo ed adattandosi ai fattori fisico-chimici costituiscono l’“ecosistema bosco” che è teso alla costante ricerca di uno stato di equilibrio. Le intense reazioni tra gli elementi di un ecosistema sono i meccanismi che la natura mette a disposizione per mantenere il migliore equilibrio possibile tra tutte le forze e gli elementi dell’ambiente, comprese le attività dell’uomo. […] Ma il bosco, con la sua ricchezza biologica è sempre stato considerato dall’uomo come una risorsa a costo prossimo allo zero, capace di autorinnovarsi autonomamente, e pertanto utilizzabile senza eccessivi problemi come fonte di risorse alimentari, energetiche e di materiali da costruzione. Con l’aumentare delle esigenze umane, in conseguenza e del miglioramento del tenore di vita delle popolazioni e del progressivo incremento demografico, con il conseguente allargarsi delle aree utilizzate per l’agricoltura, il saccheggio e/o la distruzione delle risorse boschive attuate per i più diversi fini, ha, nel tempo, raggiunto dimensioni sempre più vaste (Sereni, 1961). Questo è accaduto, a più riprese e per le differenti regioni italiane, in epoca storica, da quando cioè l’uomo, non ricordandosi o non rendendosi conto dell’importanza dei boschi nell’ecosistema, li ha saccheggiati e distrutti, spesso per l’acquisizione di nuove superfici da mettere a coltura per scopi di pura sussistenza, inseguendo un illusorio immediato vantaggio». In merito a quest’ultima considerazione, comunque e nonostante già nel settecento e nei primi dell’ottocento gli studiosi e i politici più illuminati indicassero il disboscamento come un’operazione deplorevole, come puntualizza nell’articolo sopra segnalato il citato B. Vecchio2 in una trattazione sulla coltivazione, conservazione e fruizione economica dei boschi in Italia del 1974: nel suo lavoro il ricercatore annota anche il famoso naturalista Giovanni Targioni Tozzetti3 tra gli autori che sostenevano il ruolo insostituibile svolto dai boschi per gli equilibri naturali, con una visione ecologica delle funzioni attribuite alla copertura boschiva già nel 1751! Giova  riportare  ancora  qualche contenuto di un lavoro datato dello scomparso prematuramente, e largamente compianto, Romano Gellini4 che ha saputo individuare con ampio anticipo tanti problemi, derivanti dalle attività umane, nei confronti degli ecosistemi naturali. Gellini espone in quella pubblicazione (1990, ovvero 26 anni fa!) dei cambiamenti in 15 anni nei caratteri delle chiome degli alberi legate ai mutamenti del clima in escalation e/o all’inquinamento, ma oltre a questo e alla vulnerabilità di 450 specie vegetali censite in quel momento dalla Società Botanica Italiana, indica la possibilità

che venga intaccato il complesso meccanismo di funzionamento dell’ecosistema  forestale.  Gellini sottolinea che «[…] gli alberi, e meglio ancora l’ecosistema bosco, non solo rappresentano una delle strategie più efficaci nella lotta contro gli effetti negativi delle emergenze ambientali ma possono costituire un valido mezzo per la realizzazione di un sistema di monitoraggio biologico dell’ambiente, per molti versi molto più efficace del monitoraggio chimico in quanto riesce ad evidenziare gli effetti sinergici e a fornire dati non puntiformi ed istantanei ma estesi in senso temporale e spaziale e quindi sicuramente più “rappresentativi”. […]».

Se anni addietro mancavano migliori conoscenze scientifiche, oppure queste erano maggiormente circoscritte a pochi eletti e quindi vi erano minori cultura e sensibilità diffuse, oggi non è più plausibile che vengano meno comportamenti corretti in senso ambientale-ecologico. A maggior ragione, in un periodo storico afflitto da uno dei più gravi problemi odierni come i mutamenti del clima. Mutamenti largamente dibattuti ma per i quali sono stati sostanzialmente disattesi, o in ritardo nella loro considerazione e ipotesi di applicazione, i rimedi necessari e, quindi, adesso siamo a dover parlare solo di contenimento degli effetti conseguenti noti ed in previsione. Per questo stupisce e preoccupa profondamente che corporazioni o settori di esse disconoscano, completamente o parzialmente, questi problemi per rilanciare o amplificare fini esclusivamente o prevalentemente economici derivanti dall’incremento d’intervento sulle realtà boschive residue esistenti.

Lo scorso 14 gennaio, per esempio, si è svolto il convegno “Economia del bosco e politiche forestali in Toscana”, organizzato dalla Confederazione italiana agricoltori Cia e Associazione regionale boscaioli Toscana Arbo, presso la sede del Comando Regionale del Corpo

Forestale dello Stato. Di tale convegno ne è stato pubblicato il resoconto in internet5 assieme anche, in altro link, all’intervista al tg3 regionale toscano del presidente Cia Luca Brunelli. Gli argomenti sono riassunti nei titoli e sottotitoli: “Il bosco toscano produce economia. Ma burocrazia e politiche disattente frenano crescita”, ed ancora: “Economia del bosco a due velocità in Toscana. Da una parte investimenti, innovazione e risorse; dall’altra una mancanza atavica di politiche di sviluppo in ambito forestale, sia a livello europeo che nazionale”. E questo nonostante che nel convegno si riconosca proprio da parte della Cia che gli ultimi anni hanno mostrato una decisa crescita del settore (e basta osservare, per chi non è disattento, quanto si interviene progressivamente negli ultimi anni per esempio sui boschi cedui nella regione). Di seguito citiamo testualmente6 alcuni passaggi dell’articolo e di quanto hanno dichiarato vari relatori che confermano le preoccupazioni sopra descritte (oltre legittime osservazioni ad es. contro il lavoro nero), anche a fronte di quelle specifiche ripercussioni che sia l’agricoltura sia gli ecosistemi naturali e le economie collegate subiscono in progressione dai cambiamenti del clima e che dovrebbero essere tenuti in primaria considerazione proprio in ambito Cia. Nel resoconto viene riportato: «[…] Ma non mancano le problematiche, come un eccesso di vincoli e di burocrazia, che sta spingendo il settore alla marginalità economica.»; Luca Brunelli (presidente Cia Toscana): «Occorre un piano nazionale di sviluppo dell’impresa boschiva, una strategia di valorizzazione della selvicoltura e dell’impresa, fondata su incentivi, agevolazioni fiscali (a partire dall’Iva sui combustibili legnosi), incentivi all’occupazione come mezzo di contrasto al lavoro nero. E poi semplificazione e sburocratizzazione. Alla Regione chiediamo innanzitutto un impegno per determinare una nuova stagione di politiche europee e nazionali di sviluppo del comparto forestale […]»;  Sandro  Orlandini  (Cia Pistoia): «Non mancano difficoltà per le imprese toscane…  Facciamo i conti con uno scarso valore aggiunto del settore […] con poche politiche di sviluppo, troppe politiche conservative, dettate da un ambientalismo miope»; Marco Failoni (Cia Toscana): «Non c’è attenzione in Europa, la politica forestale viene gestita prevalentemente come politica ambientale; manca totalmente una base giuridica che consideri il bosco sotto il profilo produttivo. Anche a livello nazionale non va molto meglio: i boschi sono tutti sottoposti a vincolo paesaggistico; nelle aree Natura 2000 ogni operazione selvicolturale è soggetta a complicate procedure di valutazione di incidenza; Il sistema sanzionatorio fa ricadere molte violazioni nell’ambito dei reati penali. Manca inoltre una qualsiasi strategia finalizzata allo sviluppo del settore. Le stesse opportunità aperte nell’ambito delle politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili, vengono continuamente “stressate” da scelte politiche incomprensibili: l’ultimo balletto sull’Iva sul pellet è un esempio illuminante». Fortunatamente e significativamente  Giuseppe  Vadalà,  Comandante regionale Corpo Forestale dello Stato, ha posto l’accento sull’importanza dei controlli di legalità nel settore forestale, indicando che

«Mediamente il Corpo Forestale dello Stato esegue in Toscana 4.000 controlli all’anno nel settore dei tagli boschivi, dove un intervento su quattro risulta irregolare e viene sanzionato. Assicurare il rispetto della legalità è fondamentale per lo sviluppo dell’economia forestale».

Dall’assessore  regionale  all’agricoltura e foreste Marco Remaschi indicazioni sia per le funzioni ecologiche del bosco che per l’economia, lasciando varie perplessità su quali delle due si vuole tutelare adeguatamente: «Il bosco è determinante per il paesaggio e l’ambiente, è in grado di produrre reddito e occupazione, è fondamentale per la stabilità idrogeologica. Il bosco è “multifunzionale” e deve essere gestito in modo sostenibile […]. Oggi siamo di fronte a diverse possibilità per rilanciare il settore forestale con la nuova programmazione per lo sviluppo rurale 2014/2020 che lascia ampio margine agli interventi forestali e all’incentivazione dell’innovazione del settore stesso […]. Il bosco è importante, ad esempio, per la produzione di biomassa ricavabile dalle operazioni di manutenzione e offre così un ulteriore contributo per mitigare i cambiamenti climatici […]. Dai boschi toscani si ricavano grandi quantità di legno per usi energetici, oltre 1/5 del totale nazionale. In Toscana ci sono inoltre 70 impianti di teleriscaldamento alimentati a cippato di legna finanziati con contributi pubblici afferenti a risorse libere regionali, fondi FESR e Fondi FEASR.». Quanto sopra anche in contrasto all’evidenza della pressante necessità odierna di accumulo e immagazzinamento naturale del carbonio nelle biomasse, evitando parallelamente di reimmetterlo in atmosfera, ed a fronte della realtà recente che ha visto in alcuni comuni (es. in Lucchesia) avviare disposizioni di divieto dell’uso persino di caminetti o riscaldamento a legna ove questi non risultino unici sistemi di riscaldamento (per contenere l’inquinamento atmosferico locale, eccetera).

Ancora sinergicamente ad una situazione negativa, emergono nei media valutazioni partigiane, da ritenere non conformi alle esigenze ecologiche odierne: tra queste il fatto che i boschi in Toscana sono molto estesi (tanto, secondo alcuni, da giustificare quindi interventi di sfruttamento), per oltre il 50% della superficie regionale, cosa di per se stessa non significativa e/o

 

situazioni nuove ed importanti da considerare a 9 anni di distanza dal Seminario sulle utilizzazioni forestali organizzato dalla S.B.I. e per le quali la stessa Società vuole prendere una più chiara posizione: «1) dall’inizio degli anni ottanta si è venuto manifestando in tutta Europa un crescente deperimento dei boschi, attribuito prevalentemente al contenuto di sostanze fitotossiche nell’atmosfera. 2) Dalla metà degli anni ottanta si è presa coscienza, anche in vasti strati della pubblica opinione, del pericolo di gravi mutazioni climatiche negative associate al crescente contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera. 3) Nell’ambito della ricerca per le “energie alternative” sono in corso di studio grandi progetti sull’utilizzazione delle biomasse

 

giustificativa considerando il fatto che molti di questi sono degradati o cedui (ovvero soggetti a tagli periodici frequenti che mediamente ne diminuiscono le funzionalità e gli equilibri, cosa per la quale la ricerca indica da tempo che sarebbe opportuno portarli allo stato di fustaie8, con un accumulo di capitale arboreo ed immagazzinamento di carbonio e diradamento degli interventi nel tempo per il mantenimento massimo delle funzionalità) e senza tener conto del bilancio nazionale (ed internazionale ovvero mondiale) largamente in perdita dell’“impronta ecologica”. Nel “Documento sulle utilizzazioni forestali” della Società Botanica Italiana del 19899, si appunta: «La selvicoltura, è noto, può essere esercitata a diversi livelli di intensità. Si può partire dai cedui a turni brevi con provvigioni medie di poche decine di metri cubi per ettaro, alle quali corrisponde una produzione di legna da ardere di 3-4 mc anno/ha, e si può arrivare a fustaie a turni lunghi con provvigioni medie che superano largamente i 500 mc per ha, con produzioni di legname superiori ai 10 mc anno/ha. […] La S.B.I. non si è mai opposta alla utilizzazione Essi sono interessati non solo alla realizzazione di piantagioni a rapido accrescimento, ma anche alla produzione legnosa dei boschi esistenti. 4) Recentemente, si è avuta notizia di alcune utilizzazioni forestali “pesanti” anche in zone dichiarate ufficialmente aree protette. 5) La rivista “L’Italia forestale e montana”, di Firenze, nel fascicolo n. 3 del 1988 ha criticato la politica forestale sostenuta dall’attuale Direttore Generale delle foreste, perché ritenuta eccessivamente conservatrice ed ecologista.». Di seguito si continua: «Di fronte ad una situazione ambientale che si va continuamente degradando per segni ormai a tutti evidenti, c’è dunque, negli ambienti ufficiali della scienza forestale, chi ritiene di dover difendere dalle “insidie” della legge Galasso e dell’Amministrazione Forestale una selvicoltura non conservatrice. Nelle buone intenzioni dei sostenitori essa dovrebbe avere carattere eminentemente colturale-produttivistico, ma di fatto, con il voler favorire l’utilizzazione di “qualche milione di ettari di cedui invecchiati”, porterebbe solo ad un diffuso impoverimento biologico, economico, estetico ed ambientale di vasti ecosistemi forestali e proprio nel momento in cui più urgente sarebbe andare nell’opposta direzione.». Con questa illuminata critica alla ricerca di sfruttamento economico, la S.B.I. prende una posizione ancora più chiara e netta rispetto a quanto espresso in precedenti convegni: «Ora, alla luce dei fatti nuovi denunciati ai punti 1 e 2, la Società Botanica Italiana ritiene non sia più il caso di prospettare delle preferenze ma di affermare piuttosto delle necessità urgenti: di fronte alla nuova emergenza ambientale la sola forma razionale di utilizzazione dei boschi, anche al di fuori delle aree protette, è indubbiamente quella di portare le provvigioni legnose al livello massimo compatibile con il tradizionale sfruttamento delle foreste per le necessità anche economiche della società civile. È questo, d’altra parte, l’unico mezzo per assicurare all’ecosistema bosco la massima elasticità e quindi la massima resilienza e all’ecosistema globale della biosfera il massimo assorbimento e la massima immobilizzazione del carbonio, nella massa legnosa e nelle altre componenti organiche del sistema stesso. Nella nostra situazione “storica” ciò si può ottenere evidentemente non intensificando, ma limitando le utilizzazioni boschive più o meno rigorosamente, a seconda della differenza fra il livello attuale delle provvigioni e quello che si intende raggiungere.». Nel documento la S.B.I esprime poi che nelle aree protette non si debbano effettuare utilizzazioni forestali di tipo tradizionale, e quindi favorevolmente: alla realizzazione di piantagioni per fini energetici purché con stime progettuali congrue ed attendibili sulla filiera, alla ripresa del rimboschimento. Un altro autorevole e limpido parere tecnico sugli aspetti gestionali dei boschi11 è contenuto nell’articolo dal titolo significativo “Povertà del bosco ceduo” di Fabio Clauser (già amministratore delle Foreste di Vallombrosa): «I cedui che ancora coprono gran parte della superficie boscata appenninica sono la testimonianza della povera eredità forestale che la misera economia montana del passato ha lasciato alle generazioni presenti». Clauser indica che i motivi della povertà del ceduo che tuttora perdura, sono gravi e complessi e possono ricondursi o ad una produttività tecnico-economica12 riferita alla sola produzione legnosa (De Philippis), oppure ad una produttività biologica13 (Giacomini) che ha un significato ampio a comprendere tutti i cicli produttivi dell’ecosistema foresta, ed è questa che vuole considerare lo stesso Clauser con i suoi rapporti contingenti alla produttività economica. Clauser cita ancora Giacomini: «D’altra parte si deve pur considerare che le foreste non costituiscono solo una sorgente di prodotti e sottoprodotti diversi, ma interessano una gamma di problemi di importanza incalcolabile. Problemi idrogeologici e di difesa del suolo, problemi micro e macroclimatici, problemi di equilibro generale regionale fra vegetazione spontanea e coltivata ed infine problemi di tutela di quel paesaggio delle nostre valli e delle nostre montagne, che è pure una grande ricchezza non soltanto morale per un paese come l’Italia.». Clauser afferma (sintetizziamo), che «il ceduo, tra le varie forme di selvicoltura praticabili sull’Appennino, è sotto ogni aspetto la più povera.» e pertanto il livello più alto di selvicoltura praticabile è rappresentato dalle fustaie miste disetanee ad elevate provvigioni mentre il livello più basso è rappresentato dai cedui monospecifici a turni molto brevi. Inoltre sottolinea come sia facile passare, con un taglio radicale in brevissimo tempo, da una forma di selvicoltura complessa ad una forma semplice; di contro come sia invece difficile realizzare il processo inverso, prelevando meno di quanto l’ecosistema produce affinché le provvigioni si accrescano e questo richiede lunghe o lunghissime attese. Annotando l’erronea idea che il ceduo fosse più produttivo della fustaia, l’autore ricorda (in quel momento) anche delle negative pressioni sulla pubblica amministrazione perché con incentivi diretti o indiretti si favorisca la ripresa dei tagli o addirittura si rivedano alcune norme legislative definite di grave disturbo, in modo da poter utilizzare i cedui anche d’estate e a turni ancor più brevi di quelli minimi stabiliti dalle prescrizioni di massima. Ed in queste righe di anni addietro troviamo purtroppo qualche collegamento alle volontà odierne degli operatori di settore. Non meno importanti ancora le considerazioni di Clauser della ridotta efficienza biologica e quindi idrologica dei cedui. Quei cedui che sono invecchiati, egli scrive pertanto, sarebbe del tutto utile e conveniente convertirli a fustaie per ottenere un miglioramento durevole di tutte le funzioni che quell’ecosistema può offrire. Proprio i dati sulla situazione tipologica odierna dei boschi toscani conferma quanto sopra: il 76% sono cedui, solamente il 18% fustaie e 6% altre forme. Tornando ai più sopra citati pareri partigiani, sui modi eminentemente economici di coltivare il bosco, pubblicizzati in alcuni media, è utile annotare quanto emerso in relazione alla tempesta di vento che lo scorso anno causò molti danni anche per la vegetazione arborea, ovvero pareri sul fatto che il bosco coltivato/diradato porti a migliori risultati diminuendo l’entità di danni conseguenti: in tv si è intervistato un operatore del settore che mostrava un bosco diradato dove sostanzialmente non vi erano quasi stati danni; lo scrivente ha avuto modo in un convegno, pur sinteticamente (non essendo l’argomento del tema in esame) e in presenza dell’interessato, di criticare tale modo di pensare ed operare in quanto un bosco fitto si difende meglio comunque, e difende meglio, offrendo la massima opposizione al vento, ed i danni possibili appartengono ad una conseguenza naturale e normale dettata anche dal fatto che vi è maggiore biomassa in piedi; di contro, con un diradamento si tolgono, con preventivo danno ambientale, entità viventi vegetali e si tolgono preventivamente le funzioni che essi svolgono; lasciare meno piante selezionate ha come palese conseguenza anche quella di ottenere un minor numero di entità che possono subire effetti: per fare un esempio ovvio estremo, in un deserto una tempesta non abbatterebbe alcunché. Sarebbe come se un medico sacrificasse preventivamente un buon numero di pazienti per non farli ammalare! Stesse improprie valutazioni si sono avute in occasioni passate di forti nevicate, con neve bagnata e pesante, che hanno portato conseguenze in alberature: questi alberi fino a che ci sono stati hanno assolto a funzioni inestimabili ed un evento eccezionale non deve dare indicazioni anomale se non, nell’ipotesi ove occorra (per es. in ambito urbano) a migliorie di selezione tipologica e logistica. Inoltre la scopertura dovuta ai diradamenti dei soprassuoli determina un minor accumulo fogliaceo con minore immagazzinamento carbonio e minore possibilità di assorbimento/trattenimento delle acque meteoriche e, per queste ultime, maggiore facilità di dilavamento del suolo e della coltre organica e quindi una facilitata maggiore aggressività degli agenti e situazioni meteo che possono influenzare l’ecosistema: oltre l’erosione dei suoli (con effetti anche a distanza come interramento di corsi e specchi d’acqua) al veloce disseccamento, in periodi molto caldi e siccitosi (come verificato in anni particolarmente critici come sono stati ad esempio il 2003 e il 2004, ecc.), dei terreni scoperti con danni diretti ai soprassuoli residui e danni successivi all’ecosistema intero. Ma vediamo meglio quali sono alcune delle principali funzioni dell’ecosistema bosco o foresta o di piantumazioni collocate appositamente per scopi specifici. Volutamente ancora andiamo ad utilizzare articoli scientifici non recenti, a dimostrazione di quanto è ben conosciuto e divulgato da tempo e di quanto oscurantismo appartiene ancora interessatamente al mondo economico e politico: nel già citato “Attività della S.B.I in difesa del bosco e della dendroflora” di Gellini e Onnis14 e ancora, precedentemente nel 198415, quattro ricercatori (Gellini, Brogi, Grossoni, Bussotti) espongono delle funzioni e organizzazione del verde per un convegno di Italia Nostra dedicato a Firenze, sottolineando l’importanza degli alberi come fattore di riequilibrio nell’ambiente urbano degradato. Annotando della funzione igienico-sanitaria, oltre l’estetico-ricreativa, elencano e definiscono quanto riguarda l’ecologia della vegetazione (arborea e non arborea) anche oltre i confini urbani: produzione di ossigeno e fissazione di carbonio attraverso la funzione clorofilliana, depurazione dell’atmosfera (attraverso l’intercettazione delle polveri, dei gas tossici, dei metalli pesanti, contaminazione radioattiva), depurazione biologica (attività antibatterica o antimicrobica), indicatori biologici (in Gellini et al., 1984), riduzione del rumore, depurazione delle acque, influenza sul clima e riduzione degli estremi termici (a scala locale e generale, utili termoregolazione attraverso la traspirazione in estate e opposizione al vento in inverno, anche con risparmi energetici degli insediamenti protetti), funzione idrogeologica ovvero protezione del suolo (da dilavamento, da frane) e regimazione delle acque (occorre specificare la molteplicità di questi positivi effetti positivi conseguenti ad una copertura arborea fitta:  la coltre di materiale fogliaceo in decomposizione costituisce un effetto spugna che assorbe le acque meteoriche rallentandone l’arrivo a valle e permettendo l’alimentazione lenta e costante delle falde acquifere, inoltre costituisce un “volano” di conservazione dell’umidità in periodi siccitosi, permettendo il superamento di periodi critici, e sempre a fronte della penombra della copertura di chioma di cui gode). È possibile specificare inoltre che, pur attribuendo alla traspirazione della vegetazione un contributo alla formazione delle nebbie, le piantumazioni sempreverdi lungo ogni arteria stradale e autostradale assolvono alla diminuzione dell’effetto nebbia attraverso l’intercettazione fisica delle particelle di acqua e attraverso l’eliminazione parziale del “muro bianco” dovuto ai profili individuabili dei filari che orientano gli autisti; e le piantumazioni arboree lungo le strade assolvono parallelamente alla diminuzione del rumore e del vento, alla protezione dei pedoni ove insistono camminamenti e marciapiedi, assorbono gli inquinanti, producono ossigeno, fissano carbonio, eccetera come sopra citato, migliorano l’estetica paesistica, producono biomassa utilizzabile da manutenzione periodica leggera. Nelle pubblicazioni non si dimenticano anche le diversificate funzioni produttive-economichesociali-ecologiche, che sono legate, oltre quelle relative alla produzione di legname, ai frutti del sottobosco, funghi, tartufi, resine, terricci e quindi alle attività ricreative e turistiche, contemporaneamente alle superiori difesa e conservazione del patrimonio genetico e della sua diversità, habitat specializzato per particolari biocenosi e punti di partenza per catene trofiche. In definitiva alla preponderante estensione degli ecosistemi forestali-boschivi allo stato naturale, o in una gestione che minimizzi le conseguenze da interventi economici, e ad una adeguata presenza di vegetazione, arborea e non, negli ambienti antropizzati, si deve un equilibrio insostituibile di carattere ecologico-ambientale-sociale. Non è possibile fare a meno di legare questi concetti alla verifica critica della produttività economica tradizionale, colpevole di una fabbricazione di massa di “usa e getta”: brevi cicli vitali e senza valore ed utilità intrinseci di una moltitudine di prodotti che sono alla base di spreco di energia, materie prime, rifiuti, inquinamento. Le alternative passano obbligatoriamente per cambiamenti sostanziali nei parametri economici che riconsiderino valori, funzionalità, obbiettivi. Per la tutela degli ecosistemi boschivi e forestali si auspica una maggiore estensione a conduzione naturale e una maggiore estensione con conversioni in fustaie, maggiore rimboschimento (in Toscana le pianure ospitano solo il 2% del patrimonio boschivo), piantumazioni con funzioni specifiche diversificate ove mancano coltivazioni specifiche a crescita rapida finalizzate a biomasse di uso diversificato, comprendendo anche il recupero di biomasse dell’agricoltura. Preoccupa, di contro, il riaffiorare di appetiti economici che si speravano scongiurati anche dalle nuove emergenze ambientali, sintomi di pericoloso regresso. Concludiamo ricordando che l’ignoranza ed il sonno (naturale conseguenza dell’ignoranza o provocato volutamente per interesse ed egoismo) della ragione, “genera mostri”.

 

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