Utilizzata da un gruppo di ricercatori una rete neurale per generare fingerprint artificiali che “raggirano” i sistemi di identificazione biometrica.
Ecco come i fake possono aprire a nuove interpretazioni della sicurezza. La possibilità di falsificare i dati biometrici umani grazie all’intelligenza artificiale – ora le impronte digitali – delinea un futuro ancora più inquietante e imprevedibile per gli esperti della sicurezza.
Secondo alcuni ricercatori sarebbe possibile “hackerare” le impronte digitali di un individuo attraverso un sistema in grado di imitare più del 20% delle impronte digitali presenti su un qualsiasi sistema biometrico. Il suo nome è DeepMasterPrints. La possibilità di riprodurre l’impronta digitale si basa su due delle peculiarità: la prima è data dall’incapacità della maggioranza degli scanner biometrici di leggere per intero l’immagine dell’impronta che viene acquisita, dato che la lettura avviene parzialmente in funzione della parte effettivamente acquisita; la seconda è data dalla conformazione di alcune caratteristiche delle impronte digitali che hanno delle similarità con le altre.
L’UTILIZZO DEL DEEP LEARNING. Un’impronta digitale artificiale se munita di numerose similarità, può avere maggiori possibilità di ingannare un rilevatore. Il funzionamento del sistema ingannatore si basa sul confronto dell’immagine rilevata con una serie di immagini precedentemente memorizzate, estrapolando impronte parziali fino all’assemblaggio dell’immagine finale dell’impronta originale. Il sistema è noto come Generative Adversial Networks (GANs), in grado di generare nuove impronte digitali partendo da quelle precedentemente immagazzinate. La rete neurale utilizzata è di tipo deep learning, ovvero in grado di imparare a svolgere delle attività con una precisione, in termini di riconoscimento delle immagini, mai ottenuta finora grazie anche alla presenza di due reti che si contrappongo l’una all’altra. Il GANs si basa sull’utilizzo di algoritmi generativi, al contrario di quelli discriminatori che cercano di classificare i dati di input, cioè date le caratteristiche di un’istanza di dati predicono un’etichetta o una categoria a cui appartengono quei dati. Gli algoritmi generativi fanno l’opposto. Anziché predire un’etichetta in base a determinate funzioni, tentano di prevedere le caratteristiche fornite dall’etichetta stessa.
Introdotti nel 2014 i GANs hanno riscosso successo anche in casa Facebook.
Il potenziale dei GANs è effettivamente enorme, dato che possono imparare a imitare qualsiasi distribuzione di dati. È possibile insegnare loro a creare perfino mondi stranamente simili ai nostri in qualsiasi dominio, nel campo della musica, delle immagini, del linguaggio, raggiungendo confini impensabili e imprevisti. Difficile immaginare a cosa ci condurrà questa innovazione. Va evidenziato che DeepMasterPrints ha permesso non solo di creare innumerevoli immagini di impronte digitali, ma anche di produrre dei fake capaci di ingannare anche l’occhio umano, superando la tecnica che crea impronte irregolari in grado di ingannare uno scanner, ma non certo un’analisi visiva.
Il team leader dei ricercatori ha asserito: “Al giorno d’oggi è impossibile riuscire a verificare se un dato biometrico proviene da una persona reale”. È un’affermazione che allarma parecchio.